Il Progetto Viva – Monitoraggio, valutazione e analisi degli interventi di prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne, nato nell’ambito di un accordo di collaborazione tra CNR-IRPPS e Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, ha indagato il sistema dell’antiviolenza italiano adottando una prospettiva di genere conforme al framework concettuale e alla postura interpretativa richiesti dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, o Convenzione di Istanbul. In quest’ottica, la violenza contro le donne non è considerata come disfunzione o deviazione, ma come un fenomeno radicato nelle diseguaglianze che si producono nella struttura di genere, intesa come struttura sociale. In funzione delle posizioni differenziali che vi assumono uomini e donne, questa struttura riproduce infatti uno svantaggio femminile che finisce per alimentare relazioni di potere sbilanciate e rappresentazioni stereotipate (Risman, 2004), le quali plasmano e giustificano la violenza maschile, in primo luogo agli occhi di chi la compie e in alcuni casi in chi la osserva e dovrebbe contrastarla, come dimostrano le esperienze di vittimizzazione secondaria riportate dalle donne che decidono di denunciare (GREVIO, 2020). Questo fenomeno deve inoltre essere letto entro il framework della violazione dei diritti umani (adottato a livello internazionale già a partire dal 1979, con la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne), con cui si sottolineano le responsabilità statali laddove siano accertate omissioni da parte delle autorità che sono chiamate a proteggere le vittime. Si deve a questo proposito ricordare che, nel 2017, il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani nel caso Talpis contro Italia, che ha puntato il dito contro il ritardo delle autorità competenti nell’adozione delle tutele necessarie ad evitare il tentato omicidio della ricorrente e l’omicidio del figlio, a fronte di precedenti denunce per maltrattamenti familiari depositate contro il marito. Il bollettino dei femminicidi scandito regolarmente dai media testimonia come queste omissioni non siano rare e come molto, troppo spesso i rischi per chi vive in situazione di violenza si alimentino nel difficile coordinamento tra i soggetti che a vario titolo dovrebbero assicurarne la protezione. Il sistema dell’antiviolenza è infatti un complesso campo d’intervento caratterizzato dall’interconnessione tra numerosi soggetti, i quali sono portatori di sensibilità, conoscenze, e approcci di lavoro anche molto distanti tra loro. Tra questi, l’approccio di genere è abitualmente adottato dalle operatrici dei centri antiviolenza e delle case rifugio, meno frequentemente da operatrici e operatori dei servizi generali, ovvero tutti i servizi che per loro funzione entrano in contatto con le donne che vivono in situazione di violenza, pur non essendo dedicati al loro specifico supporto.
Nel nostro Paese, la nascita di questo complesso e interconnesso campo di intervento è stata storicamente influenzata da due spinte: dal basso, una pressione esercitata dai movimenti delle donne e femministi sulle istituzioni locali, regionali e nazionali per la presa in carico del fenomeno, a cui si deve sommare il concreto supporto fornito alle donne nell’ambito dei centri antiviolenza e delle case rifugio, nati come spazi di trasformazione politica e culturale (Pisa 2018); dall’alto, l’azione di moral suasion esercitata dalle istituzioni sovra-nazionali (Corradi e Bandelli, 2018), rafforzata nel 2013 con la ratifica della Convenzione di Istanbul. Si deve al contempo sottolineare che la progressiva strutturazione di politiche e interventi non è stata né lineare né uniforme. Dal canto loro, le regioni hanno infatti normato, programmato e gestito questa materia in tempi e modalità anche molto differenti e se da un lato ciò ha permesso il sorgere di risposte specifiche, al contempo ha prodotto una notevole frammentazione, mettendo in discussione l’uniformità delle misure adottate a livello nazionale. Questa variabilità si moltiplica in funzione delle concrete relazioni che si instaurano a livello locale tra istituzioni, servizi generali e specializzati, che in molti casi si coordinano nell’ambito delle reti territoriali antiviolenza, considerate in linea di principio il fulcro della governance locale.
Nella prospettiva da un lato di ampliare la conoscenza su questo complesso sistema e dall’altro di valutare i cambiamenti promossi dai piani nazionali di contrasto alla violenza sulle donne, il Progetto Viva ha realizzato, nell’arco di un triennio, numerose e interconnesse attività di ricerca-azione. Alcuni dei risultati, maturati nel primo biennio di attività, sono stati recentemente pubblicati nel volume “Violenza contro le donne in Italia. Ricerche, orientamenti e buone pratiche” edito da Guerini scientifica e CNR edizioni (Demurtas e Misiti, 2021).
Con riferimento all’obiettivo di migliorare la conoscenza sugli attori che concretamente prevengono e contrastano il fenomeno sul territorio, uno dei più significativi contributi del Progetto Viva è rappresentato dalla prima mappatura nazionale relativa ai servizi specializzati (ovvero centri antiviolenza e case rifugio per le vittime e programmi di intervento per i maltrattanti) e a quelli generali attivi nelle reti territoriali antiviolenza. In particolare, la mappatura dei centri antiviolenza e delle case rifugio è stata realizzata combinando i risultati di due indagini parallele condotte nel 2018 da Istat e Cnr-Irpps rispettivamente sui presidi già finanziati dalle regioni e quelli che, pur presenti nel database della help-line nazionale (1522), non sono stati oggetto di finanziamento pubblico. A partire da questi dati, relativamente ai centri antiviolenza è stato costruito un indicatore statistico volto a valutare il livello di aderenza agli standard codificati nell’Intesa Stato-Regioni del 2014, ovvero ai requisiti che questi presidi sono tenuti ad esibire nel momento in cui chiedono accesso ai finanziamenti pubblici: come atteso, tra i centri indagati da Istat si osserva un’aderenza maggiore rispetto a quelli rilevati dal Cnr-Irpps, ma appare degno di nota il fatto che, anche tra i primi, il 40% si caratterizzi per un livello di aderenza basso o medio-basso (70% tra i secondi). Queste analisi gettano un’ombra sulla capacità dell’Intesa di fissare un livello minimo e omogeneo di prestazioni a livello nazionale e conferma inoltre la necessità di una sua revisione, segnalata a più riprese anche dalle associazioni nazionali dei centri e dalle stesse Regioni. Rispetto ai programmi rivolti ai maltrattanti, l’indagine Cnr-Irpps ha fatto emergere una distribuzione territoriale sbilanciata verso le regioni settentrionali, evidenziando alcune aree critiche, tra cui il limitato numero medio di uomini maltrattanti intercettati e presi in carico, l’eterogeneità delle procedure seguite per valutare il rischio di reiterare i comportamenti violenti e la diffusa difficoltà a collaborare coi centri antiviolenza presenti sul territorio (Demurtas, 2020).
A differenza delle indagini quantitative, che si sono focalizzate per lo più sulle caratteristiche strutturali dei servizi, le visite sul campo hanno consentito di studiarne in profondità le concrete pratiche d’intervento, assumendo a riferimento le principali dimensioni di interesse segnalate dagli standard internazionali. Se quindi le informazioni raccolte durante le visite presso centri antiviolenza e case rifugio possono informare l’attuale processo di revisione dell’Intesa Stato-Regioni, quelle rilevate presso i programmi di intervento dedicati ai maltrattanti possono contribuire a definire ex novo un insieme di standard nazionali, ad oggi ancora assenti. L’approfondimento qualitativo ha inoltre fatto luce sulle tensioni che si generano nell’interazione tra i diversi nodi delle reti territoriali antiviolenza: queste costituiscono infatti un ambito privilegiato per osservare, da un lato, le sfide simboliche che emergono nell’incontro tra culture e routine professionali eterogenee e, dall’altro, le potenzialità trasformative che si generano nel corso delle collaborazioni fatte sul territorio.
Un ulteriore obiettivo del Progetto Viva è stato quello di promuovere l’importanza della valutazione intesa sia come strumento di “knowledge management” a disposizione del DPO e degli altri soggetti interessati, a vario titolo, a migliorare l’esecuzione, l’efficienza, l’efficacia, e la qualità dei progetti implementati, sia come strumento di democrazia, dal momento che fornisce elementi di informazione e riflessione a una pluralità di soggetti che possono, su questa base, intervenire nell’arena politica in maniera più consapevole.
In particolare, rispetto al Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere 2015/2017 è stato evidenziato il merito di aver avviato in Italia un percorso di riflessione e confronto sulle modalità di gestione di un problema sociale affrontato in precedenza in maniera non sistemica. La ricerca valutativa sulle realizzazioni e i risultati di questo Piano, ha inoltre enfatizzato: l’avvio di importanti processi partecipativi, che si sono concretizzati in particolare nell’Osservatorio Nazionale (l’organismo tecnico di supporto alla Cabina di regia politica) e nella costituzione di una banca dati gestita da ISTAT; l’immissione, grazie al Piano, di risorse finanziarie pubbliche specifiche sul tema della violenza sulle donne che, andando ad aggiungersi a quelle regionali e locali, hanno contribuito a far evolvere la conoscenza del fenomeno, a sostenere il potenziamento e sviluppo delle attività già implementate e, soprattutto, a consentire la sperimentazione di nuove modalità di intervento, che in molti casi sono state giudicate efficaci dagli stakeholders intervistati. A fronte di questi indiscutibili punti di forza sono emersi alcuni elementi di criticità, tra i quali: la carente definizione del quadro logico degli interventi, che comporta l’insufficienza di alcuni di quegli elementi informativi indispensabili a comprendere le intenzioni programmatiche e le modalità con cui queste si traducono in procedure e azioni; la mancanza di un adeguato sistema di monitoraggio, che ha avuto ripercussioni negative sulla possibilità di acquisire agevolmente gli elementi conoscitivi necessari a orientare, in corso d’opera, la pianificazione strategica e la programmazione operativa e restituire agli stakeholders informazioni utili a valorizzare quanto realizzato; una non del tutto compiuta applicazione delle previsioni della legge 119/2013 rispetto al mandato del Piano di garantire azioni omogenee nel territorio nazionali e di valorizzare il contributo delle amministrazioni interessate e delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza.
Alcune di queste criticità sono state superate nel successivo Piano strategico nazionale contro la violenza maschile sulle donne 2017-2020, che è stato oggetto di ricerche valutative ex ante e in itinere con finalità formative, nella prospettiva di fornire informazioni utili ai decisori politici per ricalibrare le proprie scelte, favorendo quindi un processo di apprendimento dall’esperienza. Le analisi hanno evidenziato un indubbio passo in avanti sul fronte della definizione del quadro logico, dal momento che il documento strategico per il triennio 2017-2020 si è da subito caratterizzato per un impianto più articolato e coerente con le indicazioni della Convenzione di Istanbul, sebbene la sua declinazione operativa si sia conclusa con un notevole ritardo (luglio 2019), anche a causa del cambio delle forze politiche di governo. Tuttavia, alcune criticità che il Piano 2017-2020 ha ereditato, non sembrano aver trovato una tempestiva soluzione. In particolare, se prima dell’approvazione del piano operativo non vi era una chiara definizione delle dotazioni finanziarie complessivamente stanziate e della loro ripartizione rispetto ai singoli assi strategici, una volta pubblicato è stato riscontrato un sottofinanziamento dell’asse Prevenzione, la cui importanza dovrebbe essere al contrario sostenuta da cospicui finanziamenti, laddove si intendesse combattere alla radice il fenomeno. Inoltre, gli studi condotti hanno sottolineato che un efficace sistema di monitoraggio dovrebbe comprendere non solo la dimensione finanziaria, ma anche quella delle procedure, il monitoraggio fisico e quello del contesto, dimensioni che ancor oggi non sono state sviluppate. Infine, ulteriori criticità sono emerse nel modello di governance adottato, con specifico riferimento all’efficacia del processo di condivisione delle responsabilità progettuali.
Queste e altre considerazioni sono il risultato di continue interlocuzioni intrattenute dal gruppo di ricerca Viva con testimoni privilegiati provenienti dalle istituzioni e dal mondo dell’associazionismo, in particolare femminile che, come si è ricordato, ha svolto e svolge tuttora un ruolo centrale nella protezione delle donne e nella promozione del loro empowerment. Uno dei pilastri del Progetto è rappresentato infatti dall’adozione di una metodologia partecipata, volta ad acquisire prospettive e punti di vista dei soggetti attivi nel campo, che si coniuga con una concezione pluralistica della valutazione, intesa ad incrementare le responsabilità decisionali, attraverso un costante coinvolgimento degli/le stakeholder nella definizione dei possibili correttivi via via comunicati ai decisori politici.
Riferimenti bibliografici
Corradi C. (2020), “The Interplay between States and Movements on Violence Against Women. Comparative Perspectives in Sociology and Policy Analysis” in Journal of Mediterranean Knowledge-JMK», vol. 5, pp. 3-17.
Demurtas P., Misiti M. (a cura di) (2021) VIVA. Violenza contro le donne in Italia. Orientamenti e buone pratiche, Guerini Scientifica, Milano.
Demurtas P. (2020), “Così vicini, così lontani. I servizi specialistici di supporto alle donne vittime di violenza e i programmi rivolti ai maltrattanti” in La Rivista delle Politiche Sociali, 2, pp. 193-212. ISBN: 978-88-230-2299-7
GREVIO (2020), Rapporto di Valutazione (di Base) sulle misure legislative e di altra natura da adottare per dare efficacia alle disposizioni della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul) – ITALIA.
Risman B.J. (2004), “Gender as Social Structure: Theory Wrestling with Activism”, in Gender & Society, 18, pp. 429-50.
Pisa B., 2017, Il movimento liberazione della donna nel femminismo italiano, Aracne, Roma.