Nidi e servizi educativi per l’infanzia in Italia: un’opportunità di sviluppo per i bambini e per la collettività

Di Anna Milione.

La diffusione capillare dei servizi educativi per l’infanzia su tutto il territorio nazionale è una delle sfide più importanti che attende le politiche educative nei prossimi anni. L’investimento in educazione precoce costituisce, infatti, la strategia più adeguata per contrastare i divari sociali di origine e le disuguaglianze nel corso della vita, che ha importanti ricadute non solo sulla crescita dei bambini, ma anche sul benessere delle famiglie e in generale della società.  

In particolare, le ragioni per un solido investimento in nidi e servizi educativi per la prima infanzia sono ormai da tempo sostenute dalla letteratura internazionale. Un’ampia mole di studi realizzati in diversi ambiti disciplinari (dalle neuroscienze alla psicologia e alla pedagogia, dalla sociologia alla demografia e all’economia) ha messo in evidenza come le basi per lo sviluppo del benessere fisico e mentale, cognitivo, emotivo e socio-relazionale sono poste nei primi anni di vita. E’ stato riconosciuto fondamentale per lo sviluppo successivo assicurare in questi anni, a prescindere dal background familiare, un favorevole ambiente di crescita. Di particolare rilievo, in proposito, le ricerche sulla genetica che hanno evidenziato l’influenza ambientale sul funzionamento dei geni, e ancor più, le neuroscienze che hanno disvelato il ruolo dei fattori ambientali sullo sviluppo delle reti neuronali del bambino, che nei primi anni di vita procede ad una velocità che non raggiungerà mai più negli anni successivi. Alla luce di ciò, i benefici dell’investimento nei servizi educativi per la prima infanzia sono molto più efficaci e meno costosi degli investimenti successivi mirati al contrasto dell’abbandono scolastico (Heckman, D. V. Masterov  2007).

In Italia, a distanza di cinquant’anni dalla legge 1044/1971 che ha istituito gli asili nido con una finalità socio-assistenziale, solo recentemente a livello normativo, è stata affermata pienamente la loro funzione educativa. Con il decreto legislativo 65/2017 i nidi insieme ai servizi educativi dedicati alla fascia d’età 0-3 anni, sono stati inseriti all’interno del Sistema integrato di educazione e istruzione 0-6 anni.  

Come fa notare l’ISTAT nell’ultimo Rapporto nazionale sui nidi e i servizi integrativi, l’offerta di servizi per la prima infanzia (nidi, micronidi e sezioni primavera) è in parte cresciuta (26,9 posti ogni 100 bambini nell’anno educativo 2019-2020) ma continua ad essere sotto il target fissato nel Consiglio Europeo di Barcellona (2002) del 33%.

La questione cruciale riguarda le forti disparità nella copertura territoriale e nella qualità dei servizi.  Sia il Nord-est che il Centro Italia raggiungono livelli di copertura sopra il target europeo (rispettivamente 34,5% e 35,3%); il Nord-ovest è sotto ma non lontano dall’obiettivo (31,4%) mentre il Sud (14,5 %) e le Isole (15,7%), seppure in miglioramento, risultano ancora molto distanti. A livello regionale i livelli di copertura più alti si registrano in Valle D’Aosta (43,9%), seguita da diverse regioni del Centro-nord, tutte sopra il target europeo. Dal 2019 anche il Lazio e il Friuli-Venezia Giulia superano il 33% (rispettivamente 34,3% e 33,7%). Sul versante opposto Campania e Calabria sono ancora sotto l’11%.

Anche nelle Regioni con un’alta copertura di nidi, vi sono zone maggiormente carenti che generalmente coincidono con le aree interne[1]. Inoltre, in buona parte delle Regioni italiane è decisivo l’apporto delle strutture private per raggiungere valori di copertura prossimi all’obiettivo europeo, mentre solo in pochi casi il contributo più consistente proviene dai nidi e dai servizi integrativi pubblici.

Se per quanto concerne la scuola dell’infanzia che accoglie i bambini nella fascia 3-6 anni, lo Stato si è assunto da tempo la responsabilità sotto il profilo del finanziamento, per cui l’Italia è tra i paesi UE con la maggiore copertura a livello nazionale, rispetto ai nidi e ai servizi educativi per la fascia 0-3 non si prevede né un diritto soggettivo all’accesso, né un meccanismo chiaro e certo di finanziamento pubblico.

Ne consegue che in Italia i bambini sotto i 3 anni che frequentano una qualsiasi struttura educativa nel 2019 sono quasi 10 punti al di sotto della media europea (rispettivamente il 26,3% e il 35,3%), mentre in altri paesi del Mediterraneo si registrano nello stesso anno tassi di frequenza ben superiori (Spagna 57,4%, Francia 50,8%).

Questo dato include anche gli “anticipatari” alla scuola dell’infanzia, che in Italia rappresentano il 5,1% dei bambini sotto i 3 anni. D’altro canto al netto degli anticipatari e dei beneficiari dell’offerta comunale (14,7%), si stima intorno al 6,5% la quota di bambini iscritti ai nidi privati non finanziati dai Comuni.

Nel nostro Paese, dunque, 68.324 bambini di 2 anni, iscritti come “anticipatari”, frequentano la scuola dell’infanzia. Una piccola parte sono “irregolari” (0,7% dei bambini di 2 anni), perché compiono 3 anni dopo il 30 aprile dell’anno educativo di riferimento, limite previsto per l’accesso anticipato alla scuola d’infanzia. Come evidenzia l’ISTAT, il fenomeno appare inversamente correlato alla diffusione dell’offerta dei servizi specifici per la prima infanzia: in Emilia-Romagna e in Valle d’Aosta, dove la copertura dei posti rispetto ai bambini di 0-2 anni supera il 40%, gli “anticipatari” sono poco più del 2% di questa fascia di età; in Calabria si registra invece il 10,9% di copertura e il 9,9% di “anticipatari”.

Se ne può dedurre che nelle aree del Paese dove l’offerta di servizi è carente, la domanda insoddisfatta si orienta verso un percorso educativo non adeguato all’età dei bambini sotto i 3 anni, ma accessibile perché è un servizio gratuito, salvo per la quota riferita alla mensa.

Tra i fattori che scoraggiano l’iscrizione ai nidi vi sono i costi del servizio, in particolare, per l’accesso ai nidi privati, e la scarsa diffusione dei servizi che, come osservato, penalizza soprattutto i residenti in alcune aree del Paese. Poiché, inoltre, il nido pubblico continua a configurarsi come un servizio di sostegno alle responsabilità genitoriali – ovvero, di conciliazione del lavoro di cura e del lavoro extradomestico, non come un diritto all’educazione precoce del bambino – i criteri di selezione delle domande da parte dei Comuni tendono a favorire le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano.

I dati ISTAT evidenziano chiaramente questa disparità. La condizione lavorativa della madre influisce in maniera preponderante per l’accesso ai nidi: le famiglie in cui la madre lavora usufruiscono per il 32,4% del nido, contro il 15,1% delle famiglie in cui solo il padre lavora. Le famiglie in cui lavora un solo genitore incontrano, dunque, difficoltà ad accedere sia ai nidi privati per l’onerosità delle rette, sia ai nidi pubblici per i criteri di accesso applicati dai comuni. Le famiglie con due redditi, invece, hanno maggiore probabilità di iscrivere i bambini al nido: il reddito netto annuo equivalente delle famiglie con bambini che usufruiscono del nido è mediamente più alto (24.213 euro) di quello delle famiglie che non ne usufruiscono (17.706 euro) e i tassi di frequenza aumentano all’aumentare della fascia di reddito delle famiglie (dal 19,3% del primo quinto di reddito si passa al 34,3% dell’ultimo quinto). Il titolo di studio dei genitori si conferma una discriminante della scelta del nido: il titolo di studio più alto in famiglia (laurea o titolo più alto) è associato al 33,4% di frequenza del nido, che scende al 18,9% per i genitori con al massimo il diploma superiore.

Dal 2011 gli “anticipatari” alla scuola dell’infanzia sono diminuiti lievemente: dal 15,7% dei bambini di 2 anni, passano al 14,6% nel 2019. Nell’anno educativo 2019/2020 la riduzione riguarda soprattutto le regioni del Mezzogiorno, e può essere correlata con l’arricchimento dell’offerta di servizi educativi: infatti a 4.000 posti in più nel Mezzogiorno corrispondono 1.736 “anticipatari” in meno. L’incremento dei posti disponibili e la recente introduzione di contributi statali, che alleggeriscono i costi sostenuti dalle famiglie per il nido, stanno contribuendo a indirizzare le scelte educative per i bambini di 2 anni verso servizi specifici per la loro età piuttosto che verso la scuola d’infanzia. E’ importante, dunque, procedere in questa direzione.

In questa linea, il PNRR ha stanziato 2,4 miliardi di euro per incrementare l’offerta pubblica dei nidi d’infanzia, per i quali è stato necessario prorogare la scadenza, essendo pervenute richieste di finanziamento solo per la metà delle risorse investite. Con la sola eccezione dell’Emilia Romagna, tutte le Regioni hanno presentato richieste al di sotto del budget stanziato e, in modo particolare, quelle con una presenza già molto bassa di servizi educativi per la prima infanzia. La proroga al 31 marzo 2022, ha consentito di incrementare le richieste per 800 milioni, ma ne restano 400 non utilizzati.

La bassa adesione dei Comuni evidenzia come lo strumento dei bandi non sia sufficiente, ovvero, non basti a risolvere le criticità alla base del mancato sviluppo di questo servizio su tutto il territorio nazionale, che sono di ordine amministrativo e culturale.

Sul versante amministrativo la ristrettezza dei tempi e la simultaneità di bandi diversi, su settori differenti, ha probabilmente indotto i Comuni – per lo più, medio-piccoli, nelle aree interne e nel Mezzogiorno – a scegliere quelli che nella cultura e nell’esperienza amministrativa locale avevano maggiore priorità e per i quali si prevedeva con più certezza il finanziamento dei costi di gestione. Considerata, per esempio, l’entità dei problemi in cui versa l’edilizia scolastica, è probabile che su molti Comuni premessero progetti di ristrutturazione o costruzione di nuove scuole, mentre per quanto concerne l’investimento sui nidi, l’inesperienza sul versante della progettazione e la difficoltà di sostenerne i costi di gestione completamente a loro carico, li abbia scoraggiati.

Sul piano culturale pesa la rappresentazione, ancora molto diffusa, del nido come un servizio di conciliazione lavoro-famiglia per i genitori, non come una risorsa educativa per i bambini e, quindi, strumento fondamentale di contrasto alle disuguaglianze di origine familiare e alla povertà educativa. Basti considerare che alla prima scadenza, il 28 febbraio, le Regioni che hanno inoltrato più domande sono quelle con i tassi di occupazione femminile più alti ed anche una buona presenza di nidi: Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte. Nel Mezzogiorno dove c’è una scarsa presenza dei nidi, solo la Campania rientra nel gruppo delle Regioni che ne hanno fatto più richiesta (Saraceno, La Stampa, 09 aprile 2022).

Alla chiusura del bando per i nidi d’infanzia lo scorso primo aprile, nel Mezzogiorno insieme alla Campania (196) anche la Calabria (137) rientra nel gruppo delle Regioni che hanno presentato più domande.

Nel comunicato del MIUR il Governo destina i 400 milioni residui all’ulteriore finanziamento delle candidature già pervenute nell’ambito del bando PNRR per l’incremento dei poli dell’Infanzia per la fascia 0-6 anni

Al fine di non ampliare ulteriormente il gap che esiste sui territori, incrementando posti e servizi dove sono già presenti, e non nelle aree dove sono più carenti, circa 70 milioni ancora residui saranno stanziati in un nuovo bando per i nidi, con scadenza a fine maggio, destinato ai Comuni delle Regioni del Mezzogiorno, con priorità a Basilicata, Molise e Sicilia, che hanno presentato meno candidature, e che prevede un supporto alla progettazione.

Tuttavia, occorre considerare, come osserva Pavolini[2], che le risorse investite nel PNRR e quelle stanziate nella finanziaria per quest’anno e per i prossimi anni (120 milioni di euro nel 2022 per arrivare a 1,1 miliardi a decorrere dal 2027)sono ancora insufficienti a raggiungere l’obiettivo minimo di una copertura del 33% su tutto il territorio nazionale.  Secondo i dati ISTAT, la spesa relativa per servizi educativi comunali o convenzionati nel 2019 è stata pari a un miliardo e 496 milioni di euro, di cui 1,2 miliardi di euro a carico dei Comuni e la restante quota a carico delle famiglie tramite le rette (circa 8.000 euro l’anno a carico delle famiglie). Questa cifra ha permesso la fruizione del servizio a circa 197.500 bambini sotto i 3 anni, pari al 14,7% del totale dei loro coetanei. Il rischio è che si costruiscano le strutture ma non si assicuri la reale opportunità di frequentare a tutti i bambini.

Per ridurre le forti disparità territoriali è necessario stabilire un target minimo della copertura dei servizi (33%), in gestione pubblica diretta o affidati in convenzione, per ciascuna Regione e non di media nazionale, in modo da garantire livelli essenziali di servizi per la prima infanzia in tutte le aree regionali, interne e periferiche, e un ampio accesso anche ai bambini con background familiare svantaggiato.

Lo strumento del bando, pur prevedendo il sostegno dei tecnici alla progettazione, non sembra dunque il più adeguato a garantire eguali opportunità di accesso, ovvero, diritti a livelli essenziali. Occorre chiedersi, allora, con Chiara Saraceno (La Stampa, 09 aprile 2022), se non ci sia una responsabilità del Governo centrale nel fare in modo che le risorse siano distribuite per colmare le diseguaglianze, e nel rimuovere gli ostacoli di ordine culturale per quanto concerne il riconoscimento dell’importanza dei servizi educativi per la prima infanzia come opportunità di crescita dei bambini.  

Come è stato sancito dal Decreto legislativo n. 65 del 2017 i servizi per la prima infanzia hanno una funzione educativa e concorrono all’inclusione sociale e al riequilibrio delle diseguaglianze socio-economiche, si configurano quindi come un diritto per tutte le bambine e i bambini per cui occorre superare i divari di utilizzo e accessibilità.

Per approfondire

Alleanza per l’infanzia, Rete educAzioni, Investire nell’infanzia: prendersi cura del futuro a partire dal presente, dicembre 2020.

J. Heckman, D. V. Masterov, The productivity argument for investing in young children, in Review Of Agricultural Economics, 2007.

ISTAT, Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia – Anno educativo 2019/2020, 4 novembre 2021, .


[1]Per approfondire l’analisi dei divari che riguardano le aree interne si veda Openpolis, Asili nido in Italia i divari nell’offerta di nidi e servizi prima infanzia sul territorio nazionale, tra mezzogiorno e aree interne, 4 aprile 2021,

[2]  http://www.vita.it/it/article/2022/03/14/perche-i-comuni-disertano-il-bando-del-pnrr-sugli-asili-nido/162175/.

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