Di Sandro Turcio.
In Italia vivono circa 150-180mila Rom, Sinti e Caminanti (RSC), pari a non più dello 0,3% della popolazione italiana. Si tratta di una delle percentuali più basse in Europa: se fossimo come la Bulgaria o la Macedonia i rom dovrebbero essere circa 6 milioni. In Europa, la popolazione romaní è stimata in 11,3 milioni di persone, mentre in Unione Europea la stima media è di 6,2 milioni di persone, pari a circa 1,2% della popolazione. Sono cittadini europei residenti in larga parte nei paesi dell’area balcanica. Secondo la Commissione Europea, si tratta della minoranza più numerosa e allo stesso tempo tra le più discriminate, con tassi di povertà ed esclusione assai elevati a causa di un diffuso sentimento antizigano (FRA 2018. Sul concetto e le forme dell’antiziganismo si veda Piasere 2015).
A dispetto della scarsa presenza, l’Italia è l’unico grande paese europeo – penultimo in generale nell’UE27 – a nutrire una più forte ostilità verso i rom. Solo poco più di un terzo degli italiani (36%) ritiene che la società possa trarre benefici da una migliore integrazione della popolazione romaní, a fronte di una media europea del 61%. Peggio di noi fa solo Malta. Le nostre graduatorie riflettono una situazione del tutto speculare a quella finlandese: stessa bassa incidenza demografica, opinioni diametralmente opposte (i finlandesi sono gli europei più aperti e positivamente orientati verso i rom).
A cosa si deve tanta ostilità? Le differenze in valori assoluti tra Italia e Finlandia, per quanto ampie (150 mila a confronto di 11 mila rom), non sono sufficienti a spiegare – dati gli ordini di grandezza di cui parliamo – una distanza tanto notevole nel gradimento o meno dei rom nei due paesi. D’altra parte, anche nei paesi membri meno ostili alla popolazione romaní si riscontrano discriminazioni, segregazione e violazione dei diritti umani[1].
In prima battuta, tanta ostilità si spiega con gli automatismi che scattano quando si sentono le parole rom o la più dispregiativa ‘zingaro’[2], perché in quel momento scattano tutti insieme stereotipi e pregiudizi secolari sulla pericolosità dei Rom e sul loro modo di vita, talvolta romanticizzato nella figura ideale della carovana o dell’essere “figli del vento”. L’UE definisce l’antiziganismo “una forma di razzismo insolitamente diffusa che … vede e tratta coloro che sono considerati come ‘zingari’ in un processo storico di ‘alterizzazione’ fondato su stereotipi e atteggiamenti negativi che a volte possono essere non intenzionali o inconsci” (Raccomandazione del Consiglio dell’UE 2021/C93[3]). Insomma, l’antiziganismo chiamerebbe in causa spiegazioni anche di ordine psicologico di massa, fino a configurarsi come una sorta di ‘riflesso condizionato’ dal lungo processo di costruzione degli stereotipi idealtipici.
L’alterità rom/non-rom ha una storia secolare che ha avuto inizio nell’Impero bizantino (Spinelli 2021[4]). Sul finire del XII sec. e poi nel corso del XIII, qui giunse la popolazione Ḍom provenendo dall’impero persiano e prima ancora dall’India nord-occidentale (intorno all’anno 1000). Nei territori balcanici dell’Impero, i Ḍom/Rom furono equiparati a una setta, gli Athingani, da cui deriva l’eteronimo ‘zingaro’. Verso la fine del XIV sec., con l’avanzata dell’Impero ottomano, iniziò la ‘diaspora’ a ampio raggio di questa popolazione, che oggi conta 22 milioni di persone nel mondo, portandosi appresso il suo minaccioso appellativo e il suo destino di persecuzioni, a partire dalla schiavitù nei principati danubiani, che fu abolita solo nella seconda metà del XIX sec., fino al Samudaripen, al genocidio nazifascista di oltre 500 mila rom. Oggi si suddividono in cinque grandi gruppi: Rom, Sinti, Calé, Manouches e Romanichals. La lingua, il romaní chib, è ciò che li accomuna, anche se ogni comunità ha sviluppato un suo dialetto a contatto con la lingua dei luoghi di residenza. È risaputo che in Italia sono presenti soprattutto Rom nell’area centro meridionale e Sinti in quella centro-settentrionale (Spinelli 2018, Pontrandolfo 2013,)[5]; vi è poi un più piccolo e distinto gruppo etnico di comunità Caminanti in Sicilia.
Dagli automatismi indotti dall’alterità scaturiscono indebite e non dimostrabili generalizzazioni sui rom: che ti fregano e ti imbrogliano, che rapiscono i bambini, che non rispettano la legge, che non mandano i figli a scuola, che vivono in un gruppo chiuso, ecc. Queste generalizzazioni hanno le gambe corte, mentre si sottace che sono un popolo che non ha mai fatto guerre per rivendicare un territorio ma di essersi ribellato – tra i pochi casi di rivolta nella storia dell’Olocausto – agli aguzzini nazisti (16 maggio 1944 ribellione dello Zigenuerlager di Auschwitz); che sopravvive da secoli alle persecuzioni e discriminazioni, dimostrando una grande resistenza; che generalmente nei libri di testo non ci sono informazioni sui rom e sul loro contributo alla storia del mondo e alla cultura (Kyuchukov, cit.).
Non è vero che tutti i rom sono uguali, così come non è vero che sono nomadi. Ma se qualcuno di loro commette un errore, quel qualcuno vale per tutti. È quanto è successo da ultimo a Campobasso con il cluster Rom Covid-19 durante la prima ondata della pandemia allorquando, a seguito di una vicenda piuttosto confusa di un funerale di un papu rom (un anziano autorevole della comunità), vi sono stati molti contagiati (il 35% della comunità, 81 persone), dando luogo a diversi episodi di antiziganismo: hate speech sui social media e limitazioni di accesso a beni e servizi pubblici anche nei riguardi di persone e famiglie romanès che non hanno presenziato al funerale[6].
In terzo luogo, contano le politiche. Secondo Vitale (2011, p. 257) «il punto essenziale è che le idee sui Rom e Sinti influenzano profondamente le politiche». I tre fattori che stimolano le politiche pubbliche (le tre “I”: istituzioni, interessi e idee) sono assai deboli a causa degli stereotipi che ingombrano le politiche, ad eccezione degli interessi dove c’è da accaparrarsi risorse pubbliche (nazionali e europee) per progetti e interventi, sconfinati nel malaffare come in “Mafia Capitale”, «con risultati praticamente nulli per le comunità romanès che spessissimo non sono neanche coinvolte nelle questioni che le riguardano» (Spinelli, 2021, p. 16). La debolezza di tali fattori si riverbera su ogni livello di governo e mantiene in stand-by la risposta all’interrogativo politico di fondo in Italia: i rom sono un “problema” o sono una “minoranza”? Il fatto di non essere stati ancora riconosciuti come minoranza linguistico-culturale, ai sensi della legislazione vigente (legge 302/1997 e 482/1999[7]), impedisce, scrive Vitale (cit. p. 257 e 270), di «poterli finalmente nominare in termini positivi, e non solo come “problema” … [e di] rendere più efficace la lotta alle discriminazioni, garantire una maggiore tutela dei diritti, e di conseguenza anche ridurre il peso che la definizione tutta culturalista e stereotipata dei Rom come gruppo omogeneo continua ad avere».
Qual è il fronte delle politiche di contrasto all’antiziganismo? Di fronte alle ambiguità nazionali, orientamenti più chiari per le politiche provengono dall’Unione Europea in sinergia con il Consiglio d’Europa (COE) e le loro agenzie (FRA, Fundamental Rights Agency, e ECRI, European Commission against Racism and Intolerance), nonché con l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). Fin dalla Carta di Nizza (2000), poi diventata nel 2007 la Carta dei diritti fondamentali, l’UE si è prodigata nel tempo e ha investito risorse per affermare il principio di non discriminazione (art. 21). Nel 2011, la Commissione ha adottato il primo quadro regolativo per le Strategie nazionali di inclusione dei rom, recentemente rinnovato e ampliato fino al 2030 (COM 2011/173 e COM 2020/620[8]). Nel 2015, a larga maggioranza, il Parlamento europeo ha proclamato il 2 agosto Giornata europea di commemorazione dell’Olocausto dei Rom, e la Commissione rinnova continuamente l’invito ai paesi membri di fare lo stesso[9].
Anche se gli atti legislativi approvati in sede europea non hanno forza vincolante, essi stanno spingendo i paesi membri a diffondere una maggiore consapevolezza e fiducia verso il ‘mondo rom’ e a fissare obiettivi inclusivi sulla base di un set di indicatori di risultato a cui dovrebbero conformarsi le strategie nazionali (FRA 2020b)[10]. La Strategia italiana è stata adottata dall’UNAR, l’agenzia nazionale per l’antidiscriminazione razziale, nel 2012. I risultati non sembrano essere finora molto lusinghieri (Alietti e Rinolo 2021, Ardolino e Miscioscia, cit.): l’Italia è ancora nota come il “paese dei campi” sebbene la popolazione romaní in emergenza abitativa sia poco superiore al 10% (Associazione 21 luglio 2021). Questo non significa sollevare le responsabilità della politica per non essere ancora riuscita a eliminare del tutto questi non-luoghi spaziali di segregazione e il «popolo delle discariche» (Senato della Repubblica 2011) che ci vive. Significa però dare altrettanto impulso e sostegno ad azioni in grado di estirpare le radici psicologiche e sociali dell’antiziganismo, perché anche da questo obiettivo passa la rinnovata strategia europea.
Nel corso del primo decennio della strategia, si è fatto notare un maggiore attivismo dell’associazionismo romanò, animato da un’intellighenzia interna alla comunità Rom: intellettuali, artisti, professionisti, insegnanti, lavoratori dipendenti e autonomi, giovani laureati che rivendicano spazi per la Romanipé, per la cultura romanès. Questa è una novità rispetto al passato in cui nel variegato mondo del Terzo settore erano presenti soprattutto, o quasi esclusivamente, organizzazioni non-rom e in cui per i rom in “carriera” è stato preferibile, e lo è forse ancora, scegliere l’invisibilità, il non farsi riconoscere, per sfuggire al rischio di subire delle discriminazioni (Petruzzelli 2008). Da questo maggiore attivismo sono nate nuove sinergie che hanno coinvolto anche l’IRPPS, il quale nel corso dell’ultimo quinquennio ha coordinato due progetti-azione europei: ROMunicare sui rom (soprattutto rumeni) residenti a Roma nei campi abusivi, che vivono più gravi situazioni di esclusione sociale (www.romunicare.eu), e il già segnalato Municipality4Roma a Campobasso, dove risiede una piccola comunità di rom italiani di antico insediamento, che vivono diverse situazioni di marginalità sociale non meno visibili.
Le sfide dell’antiziganismo non sono poche e non sono leggere perché richiedono mutamenti profondi per incidere sugli automatismi e le generalizzazioni scaturite dalla presunta pericolosità dei rom, per fare della loro diversità un punto a favore e non a sfavore del patrimonio culturale europeo e nazionale e per ampliare gli spazi di partecipazione e interazione democratica al di là delle mere dichiarazioni di intenti.
Riferimenti bibliografici
Alietti A. E Riniolo V. (2021), The national strategy for Roma inclusion in Italy: between contradictions and loss of responsibilities. Journal of Contemporary European Studies, 29:1, 9-19 DOI: 10.1080/14782804.2019.1688138.
Ardolino A. e Miscioscia S. (2021), Rom e Sinti, in Calderone V. e Condello A. (a cura di), Rapporto sullo stato dei diritti in Italia. Roma: A Buon Diritto, pp. 1-10.
Associazione 21 luglio (2021), Rapporto 2021 – L’esclusione nel tempo del Covid. Roma: Associazione 21 luglio.
FRA (2020a), Roma and Travellers in six countries. Luxembourg: Publications Office of the European Union.
FRA (2020b), Monitoring framework for an EU Roma Strategic Framework for Equality, Inclusion and Participation: Objectives and indicators. Vienna: Publications Office of the European Union.
FRA (2018), A persisting concern: anti-Gypsyism as a barrier to Roma inclusion. Luxembourg: Publications Office of the European Union.
Kyuchukov H. (edit by, 2012), New Face of Antigypsysm in Modern Europe. Prague: NGO Slovo 21.
Mascilli Migliorini E. (2020), Sorvegliare e punire: il funerale incriminato. IntraVedere, I:9, 26.
Petruzzelli P. (2008), Non chiamarmi zingaro. Milano: Chiarelettere.
Piasere L. (2015), L’antiziganismo. Roma: Quodlibet.
Pontrandolfo S. (2013), Rom dell’Italia meridionale. Roma: CISU.
Senato della Repubblica (2011), Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, Commissione straordinaria per la tutale e la promozione dei diritti umani. Roma, 9 febbraio.
Spinelli S. (2021), Le verità negate: storia, cultura e tradizioni della popolazione romaní. Milano: Meltemi Editore.
Spinelli S. (2018), Una comunità da conoscere: storia, lingua e cultura dei Rom italiani di antico insediamento. Ortona: Menabò.
Steindl-Kopf S. (2019), From the Principles of Tolerance and Equality to the Reproduction, in Cortés Gómez I. and End M. (edit by) Dimension of Antigypsysm in Europe. Brussels: ENAR (European Network Against Racism), pp. 89-106.
Vitale T. (2011), Gli stereotipi che ingombrano le politiche e le rappresentazioni, in Bonetti P., Simoni A e Vitale T. (a cura di), La condizione giuridica dei Rom e Sinti in Italia. Milano: Giuffré.
[1] «Il villaggio di Vel’ká Ida si trova vicino al confine ungherese nella parte rurale orientale della Slovacchia. Conta 3.139 abitanti di cui il 32% appartenente alla minoranza rom. Vivendo segregati dalla maggioranza slovacca alla periferia del villaggio, i Rom abitano due insediamenti che non hanno accesso all’’acqua, all’elettricità e agli insediamenti fognari» (Steindl Kofp 2019, p. 94). Sull’antiziganismo in Europa, si vedano anche Kyuchukov H. (2012) e FRA (2020a).
[2] Il nome rom è un etnonimo, è il modo in cui i rom definiscono sé stessi; viceversa il nome zingaro è un eteronimo, ovvero è il nome con cui i rom sono stati, e continuano a essere, definiti da chi rom non è.
[3] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32021H0319(01)&qid=1646326047975&from=IT
[4] Secondo l’autore, l’ingresso nell’Impero bizantino segna il passaggio dalla preistoria alla storia del popolo romanò.
[5] Il primo documento ufficiale che testimonia la presenza in Italia di comunità romanès è datato 18 luglio 1422 in cui è annotato il passaggio di una comunità composta da un centinaio di persone a Bologna. L’arrivo in Italia potrebbe essere però precedente, come testimonia, secondo Spinelli (op. cit.), la storia del pittore Antonio Solario, detto “lo zingaro”, nato in Italia alla fine del XIV sec.
[6] Queste vicende hanno avuto una grande e lunga risonanza a livello nazionale e sono state descritte in un articolo che, nell’ambito del progetto europeo coordinato dall’IRPPS “Municipality4Roma” (www.municipality4roma.eu), è stato pubblicato nella/sulla rivista della diocesi locale, Intravedere, a cura di Enrico Mascilli Migliorini (2020, p. 26). Leggendo in chiave antropologica le vicende del funerale, «le cui responsabilità si disperdono tra Questura, Prefettura e lo stesso Comune», l’autore osserva che «non deve stupire quanto è accaduto perché questi sono di regola i risultati che si ottengono quando si lasciano le minoranze isolate». Sui rapporti tra pandemia e antiziganismo in vari contesti locali, si veda Ardolino e Miscioscia (2020, p. 8) secondo i quali «la discriminazione, l’esclusione sociale e la segregazione subite dai rom sono state accentuate dalle condizioni generate dal Covid 19».
[7] La prima è la legge di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa (COE) sui diritti delle minoranze nazionali; la seconda è la legge che ha disciplinato la tutela delle minoranze linguistiche nazionali. Ne sono state riconosciute 12, mentre «la lingua romaní è stata esclusa all’unanimità» (Spinelli 2021, p. 332).
[8] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52011DC0173&from=EN.
[9] Non è facile districarsi tra le diverse informazioni fornite al riguardo dall’OSCE (Information on the Roma Holocaust in the member states (coe.int) anche perché quelle fornite dai paesi aderenti non sono spesso esaustive. Nell’UE, solo in cinque dei quindici paesi che hanno riconosciuto il Samudaripen con atti formali dei rispettivi parlamenti o governi e/o in discorsi solenni tenuti dalle più alte cariche dello Stato, viene commemorato ufficialmente il 2 agosto. Si tratta di Croazia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Negli altri 10 paesi la commemorazione coincide con la “Giornata della Memoria” (27 gennaio), finendo in alcuni casi per vivere di luce riflessa del ricordo del genocidio ebraico. Essi sono: Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Olanda, Repubblica Ceca, Spagna e Svezia. Negli altri 12, tra cui l’Italia, il Samudaripen non è ancora riconosciuto, né in tutti i casi è commemorato almeno ufficialmente il 27 gennaio; in alcuni di essi, ma ciò vale anche per i quindici paesi precedenti, si svolgono delle cerimonie non ufficiali in date particolari. In Italia, ad esempio, viene ricordato durante le celebrazioni della Giornata internazionale del popolo Rom (8 aprile) e in occasione dell’anniversario del monumento al Samudaripen, il primo in Italia, inaugurato a Lanciano nel 2018 alla presenza delle autorità locali.
[10] Ai quattro obiettivi inclusivi verticali della prima strategia (abitazione, istruzione, lavoro e salute), il nuovo Framework ne affianca tre orizzontali: il contrasto e la prevenzione dell’antiziganismo, la riduzione del gap esistente in termini di povertà e esclusione tra la minoranza romaní e la popolazione in generale, la partecipazione diretta nella programmazione e nel monitoraggio delle strategie nazionali e più in generale nella società civile e nella vita politica dei luoghi in cui risiedono.